Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

venerdì 7 settembre 2007

3. LA MISSION E LA NOSTALGIA DEL MARE - Francesco Callegari

Se vuoi costruire una nave
non chiamare gente che porti il legno
che procuri gli attrezzi necessari
Non distribuire compiti
Non organizzare il lavoro
Prima sveglia negli uomini la nostalgia
del mare lontano e sconfinato
Appena si sarà svegliata in loro questa sete
gli uomini si metteranno subito al lavoro
per costruire la nave
A. De Saint-Exupery

Nel documento del 3 aprile 2007 “Cultura, scuola, persona”, poi ripreso come introduzione alla bozza delle nuove “Indicazioni per il curricolo” dell’11 luglio 2007, il ministro Fioroni descrive lo scenario di un pianeta visto come un unico villaggio globale dove tempi e distanze sono drasticamente ridotti, dove l’interconnessione telematica e l’incontro tra le culture rappresentano la cifra caratterizzante, ma anche un luogo dove alla persona e al cittadino vengono richieste sempre maggiori conoscenze e competenze in ambito tecnico e tecnologico.
A partire da questi presupposti, il documento del ministro indica la mission della scuola in generale, cioè cosa dovrebbe realizzare oggi la scuola in un Paese come l’Italia:
*       Ambito della cultura
Conservare lo specifico patrimonio culturale che ci viene dal passato affinché non vada disperso (trasmissione della conoscenza).
*       Ambito dell’identità personale
Accompagnare e sostenere l’allievo lungo il percorso di ricerca del senso e di costruzione della sua identità personale.
*       Ambito della cittadinanza attiva
Preparare al futuro, introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere inseriti all’interno del contesto economico e sociale in cui vivono. Edgar Morin direbbe che è necessario individuare qualche arcipelago di certezze in mezzo a un oceano di incertezza.
L’ordine e la priorità dati a questi tre obiettivi sono affidati alla sensibilità di ciascun docente e all’idea che ogni singola scuola ha del proprio ruolo nei confronti delle persone, del territorio e della società.
H. Gardner ci invita a prestare attenzione alle diverse forme di intelligenza e al peculiare modo di apprendere di ciascuno. Ma ci invita anche a rispondere alla domanda educativa fondamentale: come docente e come scuola, intendiamo impostare la nostra azione proponendo per ciascun allievo uno sviluppo equilibrato di tutte le sue intelligenze oppure intendiamo spingere al massimo quella intelligenza in cui lo stesso allievo può ottenere risultati ottimi o eccezionali? E ancora, intendiamo tenere conto delle sole potenzialità dell’individuo o cerchiamo invece di sviluppare preferibilmente quelle doti di cui ha bisogno la società?
La risposta a queste domande non è ininfluente: la chiarezza al riguardo - prima di tutto tra noi e poi anche con le famiglie - ci consente, per esempio, di essere coerenti nella fase della progettazione e di essere trasparenti e “giusti” nel momento della valutazione.
Quale che sia la risposta, a noi sono in ogni caso richiesti competenza professionale e intelligente umanità. Anche se può sembrare un modello desueto, è ancora attraverso l’esempio e la riflessione sull’azione che noi potremo dare ai nostri allievi la possibilità di imparare, come succedeva nella bottega rinascimentale dove l’allievo guardava il maestro e apprendeva capendone e riproducendone le azioni. Nel Cammino di Santiago, nel passo dove la guida invita il viaggiatore a risalire la cascata seguendo le sue tracce, Paulo Coelho scrive che “insegnare significa mostrare che è possibile, mentre apprendere vuol dire rendere realizzabile per se stessi”. Il che mi sembra una bella sintesi anche del concetto di competenza.
In un lavoro di Anthony Robbins, che per un verso è un po’ una "americanata" ma che dall’altro offre qualche spunto interessante per il nostro lavoro, ho trovato una felice analogia tra i compiti del docente e quelli del coach, l’allenatore:
“Per me il coach è un amico, qualcuno che si prende molta cura di te. Un coach è impegnato ad aiutarti a essere sempre al meglio di te stesso. Un coach ti sfiderà, ma non ti pianterà mai in asso. I coach hanno nozioni teoriche ed esperienza, perché prima ci sono passati anche loro. Non sono affatto migliori delle persone che allenano (questo elimina l’idea di dover essere perfetti). Anzi, le persone che vengono allenate possono avere doti naturali superiori a quelle del coach. Ma siccome il coach ha concentrato la sua energia in un’area particolare per anni, può insegnarti un paio di cosette che possono immediatamente cambiare la tua prestazione in un batter d’occhio. A volte i coach insegnano anche qualcosa di nuovo, qualche nuova tecnica e qualche nuova strategia, dimostrano come raggiungere risultati notevoli. Altre volte, però, un coach non ti insegna niente di nuovo, ti ricorda solo la cosa giusta al momento giusto e ti spinge a farla”.
A. Robbins, Come migliorare il proprio stato mentale, fisico, finanziario, Milano 1992-2006, p. 231.
Per ottenere tutto questo, è necessario attivare le risorse che ciascuno di noi possiede (empowerment direbbero gli inglesi con una parola che per noi potrebbe suonare un po’ come potenziamento) anche facendo squadra e aumentando la partecipazione, il coinvolgimento, la solidarietà, consapevoli che il successo di uno contribuirà al successo di tutti. Così facendo saremo in grado di migliorare la qualità della vita all’interno del nostro ambiente di lavoro e potremo offrire di conseguenza la nostra migliore prestazione professionale. 
“E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme”.
E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino 1971, p. 67.

Con tanta stima, il vostro  
Francesco Callegari
d
irigente Scolastico
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