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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

mercoledì 25 gennaio 2012

29. I FIUMI DELLA CINA - Francesco Callegari


L'anello più debole della catena è anche il più forte, perché può romperla.
Stanislaw J. Lec
Credo di non affermare una cosa tanto lontana dalla realtà se dico che la media è la scuola più difficile. Più difficile per i ragazzi, in quanto essi si trovano ad affrontare una scuola che spesso non risponde alla loro domanda di senso. E più difficile anche per gli insegnanti in quanto, pur riuscendo a intercettare la domanda di senso dei ragazzi, non hanno a disposizione gli strumenti – organizzativi, metodologici, didattici - per dar loro risposte adeguate.
L’età dei ragazzi, le loro aspettative e le loro richieste, il loro aprirsi a nuove esperienze e a nuove relazioni, il loro sguardo verso un mondo che non è propriamente il nostro, mette alla prova dei fatti tutto un sistema scolastico che non è progettato nel suo complesso per dare risposte pertinenti ed efficaci a ragazzi di quella fascia d’età. Non a caso gli esiti delle ricerche nazionali e internazionali parlano della scuola media come di “anello debole” del nostro sistema di istruzione.
Se la primaria è ancora scuola degli apprendimenti di base e la secondaria di secondo grado è già scuola di indirizzo, la scuola secondaria di primo grado si trova a metà del guado.
Il dibattito che si sta svolgendo proprio intorno a questo argomento evidenzia come sia giunto il momento di riflettere seriamente sul futuro della scuola media. Studiosi attenti e sensibili sottolineano come sia ormai improponibile il lasciare alla sola buona volontà dei docenti il compito di sostenere il peso enorme delle richieste di una massa di alunni che dal punto di vista della crescita personale, culturale e relazionale hanno ben poco a vedere con i loro coetanei di quindici-venti anni fa. Eppure l’organizzazione della scuola media è rimasta la stessa: stesse materie, stessi orari delle lezioni, stessi ordinamenti, stessi contratti di lavoro, stesso orario dei docenti, stessa formazione degli insegnanti, stesse modalità di reclutamento…
Non basta certo cambiarne il nome. Oltretutto “scuola secondaria di primo grado” non significa nulla, anzi rischia di dare adito a pericolosi fraintendimenti. La precisione terminologica è già di per sé indice di chiarezza del pensiero. Definire con precisione le cose ci aiuta a comprenderle meglio, ci mette sulla strada per una loro corretta interpretazione. Assimilare la scuola media alla superiore, anche se solo nel nome, pur con il farisaico e mortificante affievolimento del “primo grado”, significa dimenticare che la vocazione della scuola media è prettamente orientativa. I modi di approccio devono essere totalmente diversi: la media è una scuola di ricerca, di proposta, di sperimentazione; la scuola superiore si rivolge a ragazzi già indirizzati verso un traguardo formativo specifico. Non per nulla ai ragazzi delle medie vengono presentate ben tredici materie, tredici aspetti del mondo, tredici possibili progetti di vita. 


Per la dignità che merita, io continuerò a chiamarla “scuola media” perché questo essa è. Anzi è la scuola “inter-media”, la scuola che ha il compito più delicato e difficile: quello di aiutare il ragazzo ad attraversare un fiume in piena.
Ed è giusto ribadire che, a oggi, la buona riuscita del nostro intervento come scuola si basa quasi esclusivamente sulla sensibilità e sulla buona volontà del singolo insegnante e sul senso di responsabilità e di collaborazione del singolo consiglio di classe. La corretta, diffusa e omogenea “presa in carico” degli alunni non può chiaramente essere lasciata alla buona volontà del singolo docente – e ne abbiamo tanti nelle nostre scuole – ma serve un progetto chiaro, organico e complessivo. E’ importante sapere che cosa ci si aspetta da noi. Siamo i trasmettitori di una conoscenza che altrimenti rischia di andare perduta? Siamo gli ufficiali certificatori di un livello di apprendimento minimo prestabilito che ciascun ragazzo deve avere raggiunto per ottenere il diploma di Stato? Siamo guide che accompagnano per tre anni il ragazzo alla ricerca di se stesso, degli altri e del mondo? 
Forse siamo un po’ tutto questo e anche di più. Ma, fintantoché non risulta chiaro ed esplicito a livello istituzionale, quale debba essere la mission specifica della scuola media, la cifra caratterizzante dei docenti dedicati a questa fascia di età, ciascuno di noi è autorizzato a mettere l’accento più su un aspetto di questa poliedrica professionalità e meno su altri. Con il risultato di assistere a posizioni contrapposte, ancorché tutte legittime, all’interno dello stesso corpo docente.
A noi intanto viene richiesta una didattica basata sulle competenze quando a disposizione abbiamo ancora curricoli a base prettamente monodisciplinarista. Ci viene richiesto di considerare l’alunno nel suo complesso, quando non abbiamo neanche un minuto per scambiarci durante la settimana idee e opinioni su quanto sta accadendo nella testa e nel cuore dei nostri ragazzi. Credo che i nostri docenti delle medie siano fin troppo bravi!
Permettetemi però di chiedervi un favore. In questi giorni, un pensiero mi arrovella: non fate imparare ai vostri ragazzi i fiumi della Cina a memoria!
Parlando dei fiumi della Cina intendo naturalmente riferirmi a un tipo di apprendimento nozionistico che non serve a nessuno: né a chi lo propone né a chi lo subisce. Nozionismo e competenza stanno ai poli opposti dell’apprendimento: la nozione serve a meritare un bel voto alla verifica del giorno dopo, la competenza contribuisce a costruire una struttura per la vita. La memoria è giusto esercitarla, ma più che sui fiumi della Cina alleniamola su una bella poesia di Ungaretti. Tra il recitare a memoria tutti i Yan Tse Chiang, o come diavolo si chiamano, e mormorare dentro di me “Soldati” di Ungaretti, credo passi una bella differenza.
Naturalmente non sto dicendo di fare di ogni erba un fascio, ci mancherebbe. Dico soltanto di considerare i contenuti disciplinari per quello che sono: non dei fini, ma degli strumenti, niente di più. Alle superiori, i docenti non si aspettano pozzi di conoscenza, ma ragazzi consapevoli di sé e delle loro potenzialità, strutturati a livello personale, ricchi dal punto di vista emozionale e organizzati nel metodo di apprendimento. Al resto ci pensano loro.

Francesco Callegari
Dirigente scolastico
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